Buongiorno Catherine, grazie per il tempo che ci dedichi. Leggendo la tua biografia, scopriamo che sei nata a Caracas (Venezuela) e oggi vivi a Santo Domingo dove lavori come chef, conduci un programma radiofonico e lavori in TV. La tua formazione è internazionale avendo studiato in Argentina, e fatto esperienza, fra i tanti luoghi, in Perù e Thailandia. A quanto pare, da sempre, la cucina è stata la tua passione. Per molti preparare cibo è un atto di creazione allo stesso tempo e rispetto. Cosa significa, per te, cucinare?


La cucina è la mia vita e non solo il mio meraviglioso mezzo di sostentamento. Dico meraviglioso perché è il modo che ho trovato per esprimermi e ridare vita alle mie esperienze facendole rinascere in ogni piatto che creo.

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Creare una ricetta è un po’ come praticare una metamorfosi, attraverso la quale si ridà la vita a quello che era prima in dispensa. Cosa ti ispira a creare una nuova ricetta?

L’ispirazione è ovunque. Ogni progetto è una fonte d’ispirazione. Un ingrediente, un profumo, una parola sono tutti elementi che possono ispirare. In definitiva è la vita stessa il motore che muove le mie esperienze di gusto, ed è la mia esperienza di vita che cerco di sintetizzare in una ricetta.

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Tra le arti umane, quella della cucina è ritenuta una delle più complesse. Di fatto, per cucinare e innovare ad un certo livello sono richieste un sacco di conoscenze ed abilità, sia manuali che cognitive e, fra esse, non ultima è l’immaginazione. Soprattutto, la cucina è un’arte che non può conoscere limiti, in quanto è arricchita dalle differenze culturali. Secondo te, quanto è importante essere aperti alle novità per uno Chef?

È estremamente importante, direi addirittura fondamentale. Infatti, la cucina si evolve, e ogni chef che si rispetti gode del privilegio di essere al contempo un unicum ma anche una parte di un processo culturale vivente che matura e si sviluppa. Infatti, i nostri concetti e le nostre tecniche nascono dalle nostre esperienze ed essere aperti a nuovi prodotti ci permette di crescere, evolvere o semplicemente scegliere. Essere e rimanere aperti allo scambio culturale per uno chef è la condizione necessaria e sufficiente. Senza di ciò, senza una costante ricerca ed apertura, si è destinati alla ripetizione e ripetere costantemente modelli uguali a se stessi viaggia nella direzione opposta a quel che ha fatto la natura.

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Oltre a saper cucinare, è anche importante sapere come e cosa mangiare. Quali sono i prodotti che ti apprezzi di più?,Da dove vengono? E perché ti piacciono?

Personalmente, prediligo i prodotti freschi, nel rispetto dei cicli stagionali. La frutta, ad esempio, in particolare gli agrumi. Poi adoro le spezie, e mi affascina gli elementi fermentati. In una parola amo tutto ciò che mi permette di creare nel mio piatto l’equilibrio di dolce, salato, amaro, acido e, naturalmente, piccante. Tutti questi prodotti provengono dalla dispensa chiamata Pianeta Terra, che dovremmo apprendere a rispettare e conoscere meglio, senza forzare la natura. Dei Tropici adoro i frutti. Dell’Asia i fermentati, e dell’Europa sono incredibili gli insaccati e i prodotti che seguono una conservazione tradizionale. Dell’America Latina infine mi attrae l’immensa diversità e varietà di prodotti naturali. Tutto ciò che mi piace, mi smuove e mi sprona a creare e ricreare armonie ed equilibri.

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Nessuno può dire di conoscere veramente un posto se non conosce la lingua e i sapori di quella cultura. Quali sono i sapori dei Caraibi e quale, secondo te, il suo potenziale enogastronomico?

I Caraibi sono un’area molto vasta e complessa da definire. Da un lato, è un luogo pieno di prodotti dai sapori inimmaginabili ed intensi. D’altra parte, è sorprendente la facilità con la quale la cultura caraibica è in grado di adattarsi ad altre culture, arricchendosi di innovazioni e sfaccettature. A differenza di altri paesi, magari più rigidi nella conservazione e salvaguardia delle proprie tradizioni, i Caraibi rappresentano una miscela costante di sapori e influenze enogastronomiche afferenti da altre culture, a cominciare da quelle portate dai coloni nel corso dei secoli. Ad esempio, stufati e tecniche di cottura sono utilizzati da noi a prescindere dalle stagioni. Un fatto curioso, per esempio, è che qui nei Caraibi usiamo zuppe e minestre pesanti in qualsiasi momento del giorno e in qualsiasi periodo dell’anno, sebbene tutto sia preparato facendo ricorso a prodotti locali. Quindi sicuramente, per me, la cosa interessante è il mix di prodotto autoctono dei Caraibi con l’influenza di ingredienti e tecniche che affondano le radici nei tratti culturali portati dai colonizzatori e dai migranti provenienti da diverse latitudini ed esperienze culturali.

Per quanto riguarda il potenziale caraibico, non ho paura ad affermare che è infinito. I Caraibi hanno sicuramente molto da imparare, tuttavia hanno anche molto da insegnare: le loro forme e sapori sono qualcosa che il mondo merita di conoscere ancora più approfonditamente. I Caraibi, per chi vuole conoscerli veramente, non possono essere descritti solo come una destinazione per chi cerca mare, sole e sabbia. Immergersi nella loro cultura e storia, così frizzante e drammatica, rappresenta sicuramente una delle mete più interessanti da esplorare.

Catherine Austria

Per crescere e maturare, ciascuno di noi ha bisogno di confrontarsi con dei maestri per cercare poi di superarli. Chi sono stati o chi sono stati i tuoi? Qual è il tuo obiettivo nella vita?

La mia storia è molto particolare. Nei miei primi giorni da Chef ero stata messa a capo di una cucina senza, tuttavia, avere la pratica necessaria per prendere il pieno comando. I miei unici strumenti erano la teoria e la pratica acquisiti in una scuola di cucina. Così ho dovuto imparare dai cuochi che erano nella mia brigata. Fu allora che mi resi conto che il rispetto per il maestro è la cosa più importante in una cucina. Era necessario attivare uno scambio, perché se io ero forte nella teoria, loro erano impregnati di pratica. Pensai che un negoziato avrebbe giovato a tutti. Io potevo insegnare loro le mie nozioni teoriche e loro, in cambio, mi hanno guidata nella pratica. Oggi posso dire che questo scambio ha funzionato molto bene per me, anche perché mi ha insegnato concretamente che ogni persona che incontriamo può insegnarci qualcosa di utile e, talvolta, unico. Si smette di imparare, del resto, solo quando si smette di cercare, e la fine della ricerca è quanto di peggio possa accaderci, perché è anche il momento in cui smettiamo di sognare e di migliorarci. Con tutta probabilità è stato grazie a quell’esperienza che ho ritenuto per me più interessante e arricchente imparare confrontandomi col cibo della strada, intendendo con strada il luogo dove la vita scorre. Dalla strada potevo imparare tutto quel che non si può apprendere nemmeno nei migliori ristoranti. Ho viaggiato in Asia, in particolare in Thailandia, proprio con questa mentalità: lavorare e imparare in strada la cucina umili, per poi trasformare quanto appreso in piatti sofisticati da far scoprire in altre parti del mondo, mantenendo, però, un grande rispetto per l’apprendimento e senza perdere l’essenza della mia umiltà.

Il mio obiettivo nella vita è coerente con questi valori. Vorrei poter formare una brigata di sconosciuti che non hanno avuto opportunità di dimostrare quel che valgono. Con queste persone vorrei condividere la mia cucina nel mondo. Si tratta di dare alle persone la possibilità di mettere a frutto talenti e capacità, e purtroppo ciò non sempre avviene e non sempre è facile. Ho scoperto tutto ciò durante il mio primo viaggio in Austria dove ho dovuto formare la mia brigata per una cucina di un ristorante. Mi sono resa conto subito dopo il mio arrivo che non parlare la lingua era un grosso ostacolo, così ebbi l’intuizione di cercare un campo di baseball e trarre da lì la mia squadra. Non mi spaventava la mancanza di esperienza, ma davo molto peso al desiderio di emergere delle persone. In esperienze precedenti mi era già capitato di dover istruire delle persone senza basi teoriche, talvolta dei veri analfabeti, molti dei quali hanno finito per far parte delle mie cucine. Dopo i primi colloqui con domenicani, venezuelani e colombiani che giocavano a baseball o stavano nel pubblico, è nata la brigata della mia cucina in Austria. Oggi, grazie al supporto ed alla fiducia dei proprietari, è stato aperto un secondo ristorante la cui cucina è affidata ad un equipe mista latina ed austriaca, tutti accomunati dal fascino dei sapori latini: il ristorante Chuchu.

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In Italia, precisamente in Sardegna, ho fondato un progetto antropologico chiamato tribal networking. Cosa pensi del lavoro che abbiamo svolto finora? E, soprattutto, ti piacerebbe essere parte di esso e vederlo in azione nei Caraibi?

Io posso dire che per me è stata una vera fortuna scoprire e conoscere il vostro lavoro. A mio modesto parere è meraviglioso il modo in cui Tribal Networking riesce a combinare tutti gli elementi necessari per presentare in modo estremamente responsabile la cultura dei luoghi. E sarebbe semplicemente meraviglioso – per me un grande onore, un grande privilegio e una incredibile opportunità – far parte della vostra squadra.