Buongiorno Valerio e grazie del tempo che ci concedi. Dopo esserti laureato in lingue – tedesco ed inglese – hai dedicato la tua vita a viaggiare, praticare sport e insegnare. Mens sana in corpore sano, si diceva un tempo. Quanto giudichi importante il viaggiare per la sanità della mente e per implementare le competenze necessarie ad insegnare?

Ciao Marcello e un ciao a tutti i lettori del Blog di tribalnetworking.net
Sì, il viaggiare è, secondo il mio parere, molto importante. Per me, è un motivo di crescita e grande stimolo che posso poi riutilizzare per la mia professione pungolando i miei alunni e facendo capire loro che senza le lingue straniere il viaggio sarebbe impossibile. Chi viaggia, poi, va incontro all’altro e quando viaggi il diverso sei tu, lo straniero sei tu, ti spogli del tuo ruolo e “vali zero”, non hai nessun ruolo sociale che ti possa proteggere o rappresentare, rincominci da capo. Logicamente questo accade quando non viaggi da turista ma da viaggiatore. Un piccolo distinguo tra viaggiatore e turista vorrei farlo: Il turista viaggia in coppia o in gruppo, mentre tendenzialmente il viaggiatore si muove da solo; il turista va dove consiglia la guida turistica, e vede quello che si deve vedere, il viaggiatore va da tutt’altra parte, e spesso si trova in meandri e luoghi sconosciuti ai più e vede quello che gli suggerisce l’anima. Io “odio” i turisti, quando mi trovo da solo in un autobus esclusivamente con indigeni, capisco di essere nel posto giusto, al contrario quando sono circondato da stranieri come me, provo un certo imbarazzo. E’ un’esagerazione, lo so, ma spero di rendere l idea. In fondo, diciamocelo, le iperboli sono efficaci, a volte.
Ritengo poi che chi viaggia da viaggiatore non possa non eliminare anche il concetto di razzismo, perché ci si abitua a diventare “il diverso” e capisci che c’è una sola razza, quella umana. Spingo sempre i miei alunni a partire anche in posti vicini e anche per poco tempo. È un ottimo modo per migliorarsi e vedere la propria vita da lontano, in questa maniera si matura perché è più facile capire cosa cambiare: col viaggio ci si spoglia delle proprie abitudini e, una volta rientrati, si capiscono tante cose.
Il viaggiare è importantissimo, non per niente il matrimonio inizia con il viaggio di nozze e secondo me molti matrimoni non funzionano perché non si viaggia più. Io metterei obbligatorio il viaggio anche nelle scuole, sia come materia teorica, che come materia pratica, con dei fondi speciali per il viaggio. Chissà se sarà mai possibile?

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L. Wittgenstein diceva che chi conosce una parola, conosce una lingua e chi conosce una lingua conosce una cultura. Apprendere un idioma, allora, significa conoscerne ed apprendere gli elementi culturali. Sei d’accordo? Qual è il tuo metodo?

Beh, credo vivamente che niente veicoli maggiormente una cultura della lingua: la lingua è l’anima di una nazione e da essa vien rappresentata. Lingue accoglienti, musicali avranno a parer mio anche popoli accoglienti e sorridenti. Lingue contorte e difficili rappresenteranno anche un modo di vivere contorto e ostile. Imparare un lingua è il modo migliore di imparare la cultura e la Weltanshauung di quel popolo, e ogni volta che si fa un viaggio linguistico, si fa al contempo anche un viaggio nel luogo d origine della lingua. In realtà conosco persone che hanno viaggiato pochissimo, per varie ragioni, ma che per curiosità intellettuale studiavano lingue straniere proprio per il gusto del “viaggiare mentale” e sapevano alla fine di più di quella nazione di tanti turisti che si recavano nel paese straniero solo con il corpo “selfizzato”, perdonami l’azzardo lingusitico, ma di questi tempi è di moda. Per quanto riguarda il metodo, credo non esista un metodo preciso, migliore di un altro all’interno di un contesto scolastico. A me piace molto l’idea, il concetto orientale espresso in inglese “be like water”, l’acqua prende la forma del contenitore che lo ospita, cosi il docente dovrebbe prendere forma in base alla tipologia della classe che “lo ospita”. Spero di essere stato chiaro. E’ facile essere insegnati con alunni bravi e motivati, qui il metodo nasce da se, un altro conto, è essere in una classe di ragazzi svogliati demotivati o aggressivi. Qui va da se il metodo sarà completamente diverso. I metodi della glottodidattica sono innumerevoli, in teoria tutti infallibili nel loro tempo di applicazione, uno superava sempre l’altro. Quando entri in classe ti accorgi che i metodi teorici non sempre servono. Se in classe non si condivide un progetto diventa un impresa ardua. Oggi, spesso gli alunni non condividono “il tuo interessarti a loro”, perché spesso neanche loro sono interessati alla loro cultura e al loro futuro. Una bella sfida per gli insegnanti di oggi.
Ogni volta, caro Marcello, è una sfida e il buon insegnante deve capire in ogni classe quale metodo, quali materiali quale atteggiamento adottare in base a chi si ha di fronte… “Be Like water” e a volte ti costringono ad essere invece “be like beer” scherzo, ma ogni tanto ci vuole .

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Oltre ad insegnare inglese e tedesco agli italiani, tu insegni italiano agli stranieri. Detto in altri termini, fungi da ponte culturale, oltre che da professionista della didattica. Cosa pensi degli scenari di chiusura culturale che stanno spirando con sempre più vigore nel mondo?

Mi piace molto l’idea che chi insegni lingue crei ponti culturali, i quali poi possano essere percorsi per tutta la vita, per crescere e confrontarsi. Gli scenari che stiamo vivendo non sono certo tra i più rassicuranti, consapevole anche del pensiero di Vico “corsi e ricorsi”.
Gli scenari di chiusura sono una conseguenza della crisi culturale ed economica che stiamo vivendo. Le lingue, secondo il mio modesto parere, possono giocare un ruolo fondamentale per aprire i popoli ai confini dell’altro e naturalmente per sviluppare una consapevolezza di “sé nel mondo” e non “del sé in un paese circoscritto”. Se si è consapevoli di questo si capisce che gli altri sono “cultura che cammina” che si incontra, tradizioni che si possono ascoltare, lingue da apprendere e non persone da temere.

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Quando si torna da un viaggio, quasi come sfogo necessario del riadattarsi, si fanno delle comparazioni fra i luoghi e le pratica di vita appena visitati, e luoghi e pratica di casa nostra. Cos’hai notato dal ritorno dal tuo ultimo viaggio? Quale cambiamento auspicheresti per la Sardegna?

Ogni volta che torno da un viaggio vi è un misto di emozioni che sobbalza nella mia anima: la gioia di tornare vi è sempre, ma al contempo vedo quanto poco si fa per la nostra isola, e quanto lenti siano i cambiamenti che avvengono e non sempre in meglio. Molti dei nostri amministratori dovrebbero viaggiare un po’ di più e prendere spunto da altre nazioni per capire come, a volte, sia facile portare delle migliorie. Vedo la Sardegna come una terra, con grande potenzialità, troppo spesso violentata. Un esempio per tutti la Saras, ogni volta che la vedo, mi domando come sia potuto accadere una disgrazia del genere in una terra con tutt’altra valenza. Il lavoro si costruisce in altri settori, ma non certo nella petrolchimica. Ma non viene capito. Speriamo che altre generazioni possano salvare questa terra, altrimenti la finiremo come l’isola di Pasqua, dove hanno tagliato sino all’ultimo albero e poi non hanno avuto più la possibilità di costruire navi per pescare e si sono autoestinti.

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Avendo a che fare con adolescenti e giovani, che idea ti sei fatto delle nuove generazioni? Che sfide dovranno affrontare e quali, secondo te, i loro punti di forza e di fragilità?

I ragazzi di oggi sono molto fragili, a volte molto viziati, ma sono anche molto profondi. Se parli con loro singolarmente dimostrano grande potere riflessivo. Hanno tutto ma non hanno niente. Spesso non hanno consapevolezza di chi sono e della grande fortuna di vivere in un luogo di benessere e di pace… almeno per ora. Tornano a casa e trovano da mangiare caldo e a scuola si lamentano di tutto e non sanno che più di un miliardo della popolazione mondiale non sa né leggere né scrivere. Anche in questo caso si evidenzia l’importanza del viaggio: se viaggiassero vedrebbero con i loro occhi quello che succede in un paese povero, e non attraverso la televisione. Una piccola grande differenza. Quando ti trovi un paese cosiddetto del terzo mondo non puoi cambiare canale, giri la faccia e sei ancora là, non c’è bisogno della pubblicità che ti dice che sei fortunato se hai da mangiare e che dovresti forse avere un altro atteggiamento verso la vita. Per tornare alla domanda, un punto debole dei ragazzi di oggi è il loro comportamento in gruppo, potrebbero compiere atti molto malvagi e qui si deresponsabilizzano. Le azioni compiute all’interno di un gruppo sono sempre altrui e nel gruppo ci si nasconde. Pensiamo per esempio agli atti di violenza negli stadi. In gruppo potrebbero anche uccidere. Il punto di forza è che da soli potrebbero poi “salvare il mondo”.

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Il tuo aspetto non è quello che, la vulgata, attribuisce al cosiddetto tipico sardo. Sei alto, hai i capelli rossicci e le lentiggini. In un raduno di vichinghi, probabilmente, passeresti più inosservato che in sella ad un cavallo pronto per la Sartiglia. Che idea hanno, gli stranieri, della Sardegna e, soprattutto, credi che la Sardegna sia capace di veicolare all’esterno una propria autorevole narrazione?

I cappelli rossicci purtroppo non ci sono più e le lentiggini piano piano diventano macchie di vita . Però si narra che il vero sardo fosse rosso, in Barbagia, bisognerebbe verificare. Sono nato qui, anche se da madre bolognese, e mi sento comunque sardo. Quando sono all’estero e mi chiedono di dove sono, rispondo sempre “ I’m from Sardinia, an island in Italy”, prima dico Sardegna, poi Italia. Credo che capiti a molti.

Gli stranieri conoscono la Sardegna soprattutto per il mare e per l’estate e i numeri parlano chiaro. D’inverno gli stranieri sono quasi una rarità. Se non bruciamo i nostri boschi, se collaboriamo maggiormente tra di noi, se invece di desiderare che al nostro vicino gli si “boghi” un occhio perché a lui sarà dato il doppio di quello che sarà dato a noi, parafrasando una vecchia storia riguardante la Sardegna, allora la Sardegna può giocare un ruolo da protagonista, sia per la sua tradizione e storia che per la sua posizione al centro del Mediterraneo. Altrimenti dovremmo rantolare economicamente e socialmente ed aspettare che qualche straniero faccia qualche investimento per dare un po’ di visibilità e ricchezza alla nostra terra.

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In questi mesi, hai visto nascere e maturare i progetti inveritas.it e tribalnetworking.net, che idea ti sei fatto di questi lavori?

Il messaggio di tribalnetworking.net è molto affascinante. Una bella finestra d’amore verso la Sardegna anzi direi un vero e proprio atto d’amore verso questa Terra.

Una bella valorizzazione sinergica tra diversi professionisti e diversi punti di vista per parlare della nostra Isola. Fammelo dire: è un bel progetto pervaso di passione ed entusiasmo!