Buongiorno Ciriaco e grazie del tempo che ci dedica. Leggendo il suo curriculum, possiamo notare che è nato a Nuoro, si è laureato in Ingegneria elettronica a Pisa e scrittura creativa ad Honk Kong, dove peraltro risiede per gran parte dell’anno. Da anni, poi, è impegnato in un progetto meritorio: far conoscere la cultura sarda sia ai sardi che al resto del mondo, avendo compreso l’immenso potenziale culturale ed economico che, purtroppo, solo in parte viene messo a frutto e valorizzato. Partiamo dall’inizio: perché, da Nuoro e dal Monte Ortobene, ha scelto l’Est asiatico?

Lavorando inizialmente per tre prestigiose multinazionali (Honeywell, Oerlikon e A.T. Kearney), ho avuto la possibilità di viaggiare molto. Ero responsabile dell’ingegneria di produzione e della logistica, ma soprattutto ero responsabile per i contratti di licenza nel mondo. Ho lavorato in America, in Brasile, in Francia (per circa un anno ad Angers), in Svizzera, in Germania Ovest e anche nell’allora Germania dell’Est (una delle esperienze più drammatiche della mia vita), in Belgio, ecc. In pratica ho viaggiato quasi ovunque, eccetto che in Asia. All’inizio degli anni ’90, avendo lanciato il mio gruppo di società di consulenza e di gestione diretta di aziende, abbiamo avuto mandato da un importante cliente italiano di studiare gli scenari economici futuri e di indicare le possibilità concrete di espansione. Un bellissimo progetto. E gli indicatori erano chiarissimi, seppure in Italia non ci si soffermasse ad approfondirli: l’Asia sarebbe stata in breve il centro propulsore del nuovo sviluppo economico, e su questa visione ci siamo precipitati e focalizzati, in tempi non sospetti. A parte i libri degli scenaristi americani, che sono frutto di una disciplina estremamente professionale, e di una tonnellata di documenti di tutto il mondo (ma non italiani), un trattato chiamato‘Asia Rising’ ci aperse gli occhi con una sintesi incredibile. Quello che prospettava era sbalorditivo. Ho iniziato allora i viaggi in Asia, sbarcando dapprima a Singapore e poi su tutto il Sud-Est Asiatico (le nazioni allora famose come Tigri Asiatiche, prima che George Soros attaccasse finanziariamente la Malesia e tentasse di scardinare un sistema che stava diventando preoccupante per l’economia statunitense), e poi nella galassia Cina, in Australia, ecc. Nel 1997 ho vissuto in prima persona la crisi portata da Soros e ho toccato con mano la forza, la determinazione e la capacità di adattamento – e fortemente innovativa – di questi popoli. Sono rimasto sbalordito. Mai avevo sentito una tale energia, una tale volontà, e mai avevo visto implementare una strategia direttamente mirata a dare benessere economico a larghissime fasce di popolazione – con incredibile successo! Solo per parlare della Cina, in 35 anni è stata capace di portare al benessere più di 500 milioni di persone. Si può dissentire politicamente (e dissento), si può discettare di diritti e doveri, ma è innegabile che nessuna civiltà al mondo sia stata capace nella storia di ottenere simili risultati. Lo stesso, seppure in dimensioni più ridotte e variegate, è avvenuto nell’intero scacchiere asiatico. Per me che sono un appassionato di strategia e che ho gestito decine di aziende in Italia e all’estero, l’Asia ha rappresentato un sogno. Se l’Italia ne avesse capito un centesimo delle potenzialità,
oggi saremmo ricchi, immuni dalla crisi. Purtroppo non è stato così: abbiamo perso un treno irripetibile e sulla nostra stupidità potrei scrivere non uno ma tre trattati, uno più amaro dell’altro, il primo dedicato ai politici, il secondo agli imprenditori, il terzo a tutta la pletora di professori, nani e ballerine che ha affollato il panorama asiatico per decenni (mi ricordo che solo nel 2003 ci sono state 247 missioni dall’Italia (!), praticamente una al giorno, dedicate per lo più a mangiare, bere e andare a donne – mi scuso per la crudezza, ma quest’ultima attività era allora l’obiettivo prioritario della maggioranza dei viaggi verso l’Asia).
Ho lavorato in Asia per più di vent’anni, ho presentato tremende opportunità, ho gestito tante aziende, ho fatto amicizia, di cui mi onoro, con decine di personaggi incredibili, e in tanti anni non ho mai preso fregature dai bistrattati mostri cinesi – le fregature all’estero si prendono dagli italiani, è purtroppo una legge scolpita nel marmo bianco di Carrara.

alluniversita-di-hong-kong

Cosa non ha funzionato da noi e quali ritiene essere gli strumenti necessari ad affrontare le sfide del millennio in corso?

Io credo che negli ultimi quarant’anni in Italia abbiamo nutrito mediocrità, l’abbiamo coccolata e istituzionalizzata, e ora ne raccogliamo i frutti a piene mani. La serietà di un’università cinese (per non parlare di un’università giapponese o singaporeana o coreana, ecc.) non è minimamente comparabile con un’università italiana e tanto meno sarda. Tant’è che le università di Cagliari e Sassari sono posizionate nel mondo tra il 500° e il 600° posto, quarto mondo, quindi, neanche terzo. Non casualmente. Oppure, la serietà e la reale e provata competenza di un assessore cinese non sono comparabili con quanto quotidianamente si vede nei nostri comuni, nella nostra Regione e nel nostro stato, dove solo l’appartenenza politica conta. Per me, l’immersione nel sistema formativo/educativo asiatico è stato un bagno drammatico di umiltà, da cui sono riuscito a sopravvivere intanto, e poi a emergere grazie a certi valori sardi, proprio sardi, e non certo italiani. La serietà e il fondo, fatemi dire, di calvinismo nel lavoro, il rispetto per gli altri, la caritas nei rapporti umani e professionali, il basso profilo, la testardaggine, la capacità di lavorare 14 ore al giorno per sette giorni alla settimana senza lamentazioni e svenevolezze, la voglia di studiare e di ricostruire dal basso la propria identità. Questi sono i valori che funzionano all’estero. La cialtroneria invece non funziona, purtroppo per noi, neanche nel terzo millennio.

libro-come-lavorare-coi-portali-asiatici

Quali sono, a suo avviso, i limiti e le criticità che tengono imbalsamata la Sardegna?

Prendo a prestito da un mio recente articolo su L’Unione Sarda [uno dei principali quotidiani della Sardegna; NdR.]: “Dieci anni fa ho pubblicato il saggio Come Lavorare con i Portali Cinesi, in cui ho descritto Alibaba.com e le tremende opportunità che schiudeva alle nostre imprese in termini di marketing e di commercio internazionale. In Sardegna pochissimi hanno capito; alcuni mi hanno preso in giro (il nome Alibaba si presta al sempre costruttivo sarcasmo pellita); una sola persona ha comprato il libro e seguito i miei suggerimenti – ho nome e cognome. Oggi Alibaba è la più grande azienda al mondo di commercio online, ha centinaia di milioni di utilizzatori tra fornitori e clienti, e segue ogni giorno milioni di business diversi. L’anno scorso le sue transazioni commerciali hanno raggiunto i 250 miliardi di dollari, più di eBay e Amazon insieme. Dopo Apple, Google e Microsoft, Alibaba è la quarta società al mondo in termini di capitalizzazione. Sentire dunque che la nostra classe politica, e il professor Pigliaru in particolare, a fine 2016 e in occasione del passaggio in Sardegna di Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, ha sposato l’e-commerce tanto da consigliarlo ai produttori sardi, fa un certo effetto amaro, l’ammetto.”
La nostra classe politico-dirigenziale è purtroppo indietro di decenni, questo è un fatto, confermato anche dalla composizione della presente giunta. Al di là di qualsiasi ideologia o schieramento, la delega della gestione di una regione complicata, data a otto professori di un’università che scompare nella nebbia delle università peggiori al mondo, questo fatto parla da solo. In Sardegna siamo meno di 1,6 milioni di persone, con ricchezze che tutto il mondo ci invidia. Purtroppo siamo ancora accecati dalla coda delle ideologie, tutte perdenti. Basterebbe affidarci al merito e alla competenza, ma questo richiede prima di tutto cultura sociale. E noi, come detto, coltiviamo invece mediocrità. Non è una bella situazione.

hong-kong-dal-peak

Durante le sue permanenze in Asia, quali sono gli aspetti della vita e della culture locali che maggiormente l’hanno colpita? Cosa dovremmo apprendere in Sardegna da quei luoghi?

A questa domanda ho già parzialmente risposto. Tuttavia, vorrei sottolineare quanto mi piaccia il pragmatismo asiatico, la loro serietà, la loro consapevolezza di vivere in un mondo altamente competitivo e non protetto, la loro determinazione. Mi piace anche molto il concetto di famiglia (che li avvicina ai sardi di una volta), il rispetto e la cura degli anziani, degli educatori. C’è inoltre, per chi lo sa cogliere, un senso spirituale della vita che m’ispira molto. Scendendo sul pratico, il concetto di servizio, o meglio di Servizio con la maiuscola, permea tutti gli aspetti della vita quotidiana, e questo migliora la qualità, facilita le cose e consente di risparmiare tempo, fegato e soldi. Non è poco.

con-gli-attori-del-film-documentario-su-grazia-deledda-e-il-monte-ortobene

Dal 2008, anno della crisi dei subprime americani, è ripartito un forte meccanismo migratorio, sia dall’Italia che dalla Sardegna. I tassi di disoccupazione isolani sono ben al di sopra dei livelli di guardia e le imprese locali stanno faticando. Visione condivisa e sinergia imprenditoriale atta a valorizzare l’immenso patrimonio naturale e culturale – nel quale è ovviamente ricompresa anche la produzione e l’offerta enogastronomica, ovviamente – potrebbero essere chiavi di volta per un rilancio. Eppure è difficile che si inneschino progetti virtuosi, sia di matrice pubblica che privata o ibrida. Secondo lei è un limite culturale, come sostengono in tanti, o ci sono altre variabili che influiscono?

Senza dubbio c’è un limite culturale, peraltro non casuale o episodico, ma fortemente voluto da una classe politico-dirigenziale mediocre e che quindi accetta intorno solo mediocrità. E’ gente che non viaggia, che non si confronta sulle realizzazioni pratiche, che vive di tattiche, di schieramenti, di politica di bassa cucina. E’ gente che non sa fare un piano, che non sa leggere un bilancio, che vive in un proprio mondo dalla doppia morale. Senza questo tappo istituzionale, innescare processi virtuosi non sarebbe difficile, e in certi (pochi) comuni della Sardegna questo avviene già e si può toccare con mano leggendone anche i risultati. Ci vuole dunque una classe politica focalizzata sui bisogni e sul benessere della popolazione, non corrotta, capace, intelligente e veloce. Spero che ci si arrivi, dipende da noi.

portando-grazia-deledda-a-hong-kong

Concordiamo tutti sul fatto che la Sardegna sia un’isola particolare e ricca di contraddizioni. Potrebbe essere un felicissimo paradiso in mezzo al Mediterraneo, invece è storicamente terra di conquista o di emigrazione. Come la vedono i suoi occhi e quali sentimenti le provoca? Ci racconti, ad esempio, del suo progetto relativo a Grazia Deledda. Crede di aver ricevuto il supporto necesssario e quali scenari futuri intravvede?

No, non ho ricevuto che qualche briciola per i miei progetti culturali. La mia associazione, composta da un gruppo ristrettissimo di persone, ha finanziato sempre tutto di tasca. L’alternativa era di non fare nulla oppure di accettare spiacevoli ricatti. Siamo andati avanti e stiamo continuando, qui e all’estero. La situazione non migliora, anzi. Anche l’ultimo film-documentario, L’Ispirazione Poetica di Grazia Deledda e il Monte Ortobene, che tanto successo sta avendo a Nuoro e che sarà portato nel mondo nel 2017, è stato completamente finanziato da Beyond Thirty-Nine.
Si deve giudicare, secondo me, utilizzando prospettive esterne al sistema da giudicare, altrimenti il giudizio è autoreferenziale. La Sardegna sta declinando anno dopo anno e chi fa una narrazione diversa, è in mala fede oppure, ecco, accecato dalla propria ideologia. Stiamo perdendo terreno in tutti i settori, stiamo svendendo anche la nostra dignità, e lasciando ai nostri nipoti (i nostri figli sono già all’estero, emigrati) una terra di macerie economiche e morali. That’s all.

mio-ultimo-libro

I politici sono espressione di un popolo e di un sentimento, almeno in democrazia. Tuttavia, sono (o dovrebbero essere) le Università la punta di diamante di una società, il luogo dove si formano quadri e forgiano caratteri e progetti. In Nuova Zelanda, ad esempio, ci sono i Dipartimenti Maori che si occupano di scavare e approfondire la cultura indigena. Qual è il suo punto di vista sull’attività accademica sarda?

Cesare Pavese diceva nella prefazione al romanzo Moby Dick di Melville che è importante ricercare le proprie radici, la propria storia e la propria identità. Senza questa ricerca continua e sistematica le tradizioni sono nulla, non valgono che zero. Mi sembra il caso della Sardegna che accetta una storia parziale e falsa, scritta dai vincitori colonizzatori, svilisce le proprie voci (come Grazia Deledda, ma non solo, si pensi a Pinuccio Sciola o Maria Lai, solo per fare due esempi recenti) e non s’interroga sulle proprie radici – quelle vere, quelle profonde. Le tradizioni cui facciamo riferimento sono del post-colonialismo e fanno capo agli anni di fine 800/inizio del 900. I nostri cori sardi risalgono a inizio 900, lo sappiamo? Gli ornamenti floreali sui nostri costumi sono stati apposti dopo la prima guerra mondiale, e non rispecchiamo un passato antico. Le università sarde sono state sempre (e lo sono tuttora) un bastione contro la nostra peculiarità, la pietra tombale su una civiltà millenaria che dall’Italia è sempre stata considerata pericolosa. Sino agli anni 80 a Cagliari non erano accettate tesi su Grazia Deledda, sempre considerata minore e comunque un’anomalia etnica. Ma guardate anche le fotografie delle nostre feste religiose del dopoguerra e confrontatele con le stesse feste tenute in Indonesia, in India, in Giappone, ma anche nella provincia francese, ad esempio. Cosa caratterizza le nostre? Fateci caso: la presenza corposa dei poliziotti, dei carabinieri, della guardie municipali. Ogni processione, ogni festa, ogni evento avviene sotto tutela. La scorsa festa del Redentore, al Monte Ortobene, c’erano sei-cavalli-sei con i rispettivi cavalieri, cento fedeli, non di più, che seguivano la processione religiosa, e sessanta tra poliziotti, carabinieri, vigili urbani, polizia stradale e forestale. Mi chiedo: cosa temevano, una ribellione religiosa o un impazzimento dei sei cavalli? Non ho niente contro le forze dell’ordine, sia ben chiaro, anzi, ma scoccia accorgersi che ancora oggi, nel 2016, siamo sotto tutela come ai tempi di Niceforo.
Le nostre università dunque? Penso che non siano altro che un altro elemento di tutela, di nutrimento di mediocrità e di calmieramento sociale. L’importante è che i sardi rimangano buoni e accettino tutto, oppure, come dice il sommo Poletti, se ne vadano tranquillamente all’estero – nessuno a Cagliari e Sassari farà una piega.

la-mia-seconda-graduation-a-hong-kong

Ha seguito inveritas.it e tribalnetworking.net, che idea ha maturato relativamente a questi progetti?

Purtroppo, per ragioni di tempo, ho seguito inveritas.it e tribalnetworking.net parzialmente. Mi ritrovo molto in queste iniziative, e ovviamente mi metto a disposizione per qualsiasi sforzo comune che sia mirato al benessere dei sardi e alla valorizzazione della nostra amata Sardegna. C’è un grande e diffuso fermento che si coglie, ma che in grande parte non comunica col target che potrebbe portarci contatti, opportunità e ricavi. Mi auguro che si arrivi presto a una sintesi capace di fare massa critica e allo stesso tempo di non tarpare le singole voci, ma di amplificarle. Riprendiamoci il nostro orgoglio, il nostro spirito comunitario: ricordiamoci, noi siamo sardi!

© immagini di Ciriaco Offeddu