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Buongiorno Alessia e grazie per il tempo che ci dedichi. Col tuo AnthroColibri ti occupi di divulgare notizie relative al mondo dell’antropologia. Lantropologia è una meravigliosa attitudine di studio nata purtroppo allinterno di un paradigma colonialista ed etnocentrico. Come ogni sapere umano, rappresentava e rappresenta un potere ed un’autorità. D’altro canto, molti antropologi, scavalcando i limiti, sono riusciti con le loro etnografie a darci in qualche modo conto delle vite degli altri. A tuo avviso cosa è diventata, oggi, lantropologia e quali sono le nuove frontiere della ricerca?

Buongiorno e grazie a voi!! Penso che da quando è nata – dai tempi cioè in cui era segnata da un fortissimo etnocentrismo e da un forte asservimento al potere euroccidentale – la situazione, almeno nelle dichiarazioni teoretiche, sia totalmente cambiata e l’etnocentrismo risulti in parte superato, seppur non totalmente.

Le ragioni stanno nel fatto che è oggettivamente impossibile spogliarsi totalmente dellhabitus culturale di cui si è portatori e che inevitabilmente, per quanto ci si sforzi, esso tende a influenzare linterpretazione dell’alterità. Limportante è cercare di essere consapevoli dei punti critici, dei momenti e delle situazioni in cui, maggiormente, si cade in questa trappola e cercare di limitarli o, perlomeno, esplicitarli per depotenziarli. C’è però un altro meccanismo attraverso il quale, a mio avviso, si manifesta l’etnocentrismo, e questo consiste nel diverso potere di parola, in una diversa rappresentatività pubblica, una diversa presenza e un diverso livello di assertività. Mi riferisco ai meccanismi dell’autorità, anche etnografica, che rispecchiano le asimmetrie di potere globale, e per le quali un antropologo, una prospettiva di ricerca, una narrativa tendono ad essere più o meno rappresentativi in relazione alla parte del mondo a cui appartengono, al potere dellistituzione a cui afferiscono. Insomma, per quanto la teoria si sforzi di tracciare un indirizzo antietnocentrico, nella pratica l’etnocentrismo è vivo e vegeto all’interno stesso delle dinamiche del sapere antropologico e delle pratiche discorsive del discorso scientifico occidentale.

Ci sono poi vari casi di tentativi di indirizzare e mettere un freno alla ricerca, ma queste forme di “censura” si riscontrano in quasi tutti gli ambiti delle relazioni umane.

Detto ciò, non si può disconoscere che spesso lantropologia, con tutti i suoi limiti, ha contribuito e contribuisce a rendere visibili istanze rappresentative delle minoranze, della giustizia sociale, della comprensione reciproca. Per questo ritengo che, soprattutto fuori dallItalia, l’antropologia tenda a uscire maggiormente dai corridoi dell’Accademia e a essere sempre più applicata nell’analisi delle situazioni e delle criticità della contemporaneità. Anche quando loggetto di studio è più tradizionale, mi sembra che si tenda spesso a collegarlo con il contemporaneo, anche con conflitti e crisi contemporanee. Per esempio, si studiano le First Nations, le loro strutture sociali, le forme di parentela, etc. ma anche i loro rapporti e i loro problemi con il governo del Canada relativi alle dinamiche della rappresentatività. Poi mi pare che si tenda a sperimentare e ad avvalersi sempre di più di nuovi mezzi di indagine e trasmissione delle ricerche antropologiche come per esempio appunto laudiovisivo, oppure si sta proponendo, come uno dei temi di discussione di una conferenza che si terrà a breve, lutilizzo nelle ricerche antropologiche, per esempio, di una focalizzazione sul versante della dimensione sensoriale e in particolare sonora. La nascita di una sottocategoria dellantropologia chiamata antropologia auditiva. Poi c’è anche una relativamente nuova applicazione dellantropologia allanalisi del consumo e del mercato, molti antropologi, soprattutto allestero, lavorano per aziende svolgendo analisi di mercato, costruzione di contenuti e forme del messaggio promozionale, etc.

E infine mi pare (ma non son sicura se sia una novità o meno) ci sia una più forte tendenza a lavorare in team, pur mantenendo la propria connotazione disciplinare, svolgendo progetti di ricerca che coinvolgono studiosi di vari ambiti disciplinari. Anche io nel mio piccolo, ad esempio, per LAnthrocolibrì collaboro con un web designer, Mario Carta, che è il coideatore del progetto.

Poi il raggio di studi e di applicazione dellantropologia è vastissimo, ci sono ricerche praticamente su tutto ma mi pare ci sia appunto una certa focalizzazione su quelli che sono alcuni dei punti più critici della contemporaneità: limmigrazione, la crisi dei rifugiati, i concetti di confine, di cittadinanza, la gestione dei cambiamenti climatici, i movimenti di rivendicazione sociale e politica (anche in Italia son state effettuate delle ricerche, per esempio sul movimento no-Tav, e si è scatenato tutto un dibattito legato alla libertà di ricerca e ai fatti legati alla denuncia contro una laureanda in antropologia che per motivi di studio prese parte a manifestazioni del movimento), fino ad ambiti quali il rapporto tra uomo e animale.

In Italia, tuttavia, ho la sensazione che la situazione sia sempre un pomeno vitale e più statica che allestero ma questo, forse, dipende dalla condizione disastrosa in cui versa l’Università italiana, soggiogata a potentati baronali vari, e incline ad una generale immobilità.

mieti-tu-re

L’antropologia, a prescindere dalle intenzioni di chi la fa, ha sempre degli effetti pratici che si applicano ed interagiscono con la realtà. In che modo credi si possa sviluppare una narrazione etnografica relativa alla Sardegna senza incappare nei luoghi comuni e nell’autofolklorizzazione? E soprattutto ritieni che ciò verrebbe bene accolto dal pubblico autoctono?

Credo che, in una ricerca etnografica, sarebbe opportuno evitare mitizzazioni o simili al fine di non cristallizzare le tradizioni in un tempo e in uno spazio magico e non ben identificato (l’età dell’oro). L’antropologia dovrebbe infatti adoperarsi per cercare di capire profondamente i valori, gli usi, i costumi le tradizioni anche nel loro cambiamento, nel loro ruolo e nel loro articolarsi nel presente, non fornendone semplicemente delle descrizioni che reificano la sincronia a discapito della diacronia. Sarebbe anche interessante, per far questo e per sgombrare il campo, studiare proprio le dinamiche di folklorizzazzione, di enfatizzazione o invenzione (di sana pianta) anche a uso turistico di alcune rappresentazioni identitarie, investigando le motivazioni che stanno alla base di simili comportamenti. Questo vorrebbe dire evitare di concentrare il focus degli studi etnoantropologici sempre e solo su Settimane Sante, Carnevali e bissi marini. Non voglio dire che non siano argomenti interessanti. Voglio però rimarcare che sono oggetti antropologici abbondantemente dibattuti, mentre altri oggetti non lo sono per nulla e l’antropologia è una pratica scientifica che si fonda sulla curiosità e l’apertura di nuovi confini. Limitarla a percorrere il già noto significa condannarla all’agonia. Poi, se proprio si deve studiare il già noto, allora sarebbe forse più interessante investigarlo nellimpatto e nella funzione che quelle manifestazioni hanno nel presente reale e non in quello etnografico, tanto per citare Fabian. Comunque, a mio avviso, sarebbe opportuno aprire nuovi scenari piuttosto che limitarsi alla ricorsività. Mi chiedi poi se e come una simile applicazione dell’antropologia verrebbe accolta bene dal pubblico autoctono. In verità non saprei risponderti. Nonostante ci siano dei valori identitari forti e peculiari, penso che una narrazione collettiva e condivisa sia una cosa molto lunga e legata anche alla presa di coscienza degli appartenenti ad una comunità. Credo ci sia infatti bisogno di rintracciare e riprendere le fila di alcune cose, di riempire alcuni buchi nella narrazione storica e nella coscienza stessa degli abitanti di questisola. Mi sembra che ci sia ancora bisogno di una presa di coscienza storica e culturale e dellelaborazione di alcune cose. Anche se questo passaggio è avvenuto in tempi non recentissimi penso che si sentano ancora degli scompensi per il passaggio piuttosto veloce da un mondo contadino a uno industrializzato e, se – come diceva Pasolini – ciò vale per lItalia, accade ancor più per regioni come la Sardegna che, laterali e marginali, avevano col mondo ed i valori agropastorali una relazione ancora più stretta.

Forse è anche nella mancata elaborazione di alcuni elementi, nella difficoltà del prendere coscienza di se stessi e di alcune dinamiche storiche, elaborando un’autonarrazione condivisa, che origina una certa difficoltà ad affacciarsi alle dinamiche globali e a coglierne le opportunità affermando dei valori propri e delle identità che possono anche non essere perfettamente in linea con quelle esterne, globali, e contemporaneamente, com’è logico, influenzandole ed essendone influenzati.

manimalgasce

Oggi, lantropologia, e più precisamente letnografia, deve affrontare gli sviluppi di ciò che Castells chiama società della rete e dell’informazione, ovvero i nuovi mezzi digitali a disposizione (blog, social networks, portali, etc.) e le varie comunità virtuali nate grazie ad internet. In che modo reputi che questi mezzi modificheranno il concetto di ricerca sul campo e le pratiche (anche visuali) di scrittura e rappresentazione della disciplina antropologica?

Penso che abbiano già in parte modificato e continueranno a modificare le pratiche e i paradigmi della ricerca sul campo. Per esempio internet e le nuove tecnologie son state utilizzate anche per effettuare ricerche sul campo multisituate (in cui campoha unaccezione molto diversa da quella tradizionale, in questi casi non include affatto unimmersione totale nella realtà studiata e non consiste più nel piazzare la tenda affianco alla capanna del capovillaggio…). L’esistenza stessa di Community virtuali, social network, etc. è diventata oggetto di studio, e così le interazioni che si tendono a creare. Interazioni per molti aspetti diverse e peculiari rispetto al più tradizionale vis-a vis. La velocità di scambio di informazioni e di opinioni e la facilità di incontro può essere molto importante e stimolante per la ricerca, e poi lesistenza di internet, pur nel suo caos e nelle sue contraddizioni, o forse proprio per quello, da modo, anche a chi non ha la possibilità di avere accesso o di essere visibile in altri canali, di essere conosciuto e far conoscere le proprie idee. Ritengo, inoltre, molto interessante anche tutto quello che è legato allOpen Access, proprio grazie alle nuove tecnologie è possibile avere accesso gratuitamente e democraticamente a gran parte delle pubblicazioni scientifiche. Molti ricercatori, in particolar modo quelli che operano nei Paesi poveri, non potrebbero portare avanti le loro ricerche se non ci fosse lopen access e il concetto del diritto al libero e democratico accesso alla conoscenza. Probabilmente, un domani, ciò potrebbe causare degli scompensi e ci sarà bisogno di una riorganizzazione, ma alcuni studi pubblicati da importanti associazioni di antropologia dimostrano come e in che modo lopen access possa essere economicamente sostenibile.

L’accesso alle nuove tecnologie e il sempre più frequente utilizzo di queste e per filmare, fotografare, registrare, in generale documentare, sicuramente ha cambiato e cambierà molto il modo di fare ricerca etnografica. Porta con se, come hai detto, un nuovo modo di scrivere, di rappresentare la realtà, con tutta una nuova serie di tecniche e problematiche stilistiche, di rappresentazione, di traduzione ad esso collegate. Sicuramente questi nuovi mezzi di rappresentazione solleveranno essi stessi dei nuovi quesiti e delle nuove domande e contribuiranno a loro volta a focalizzare l’attenzione su elementi diversi, a creare linguaggi, racconti e forme di rappresentazione diverse e molto stimolanti.

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Secondo Socrate, il filosofo doveva espletare la funzione del moscone, ovvero punzecchiare di continuo le carni del corpo sociale dicendo cose scomode. Quale ritieni sia il ruolo dell’antropologo?

Bella domanda! Ritengo possa essere anche qualcosa di non molto dissimile, ovvero che gli antropologi debbano riflettere e far riflettere, contribuendo a mettere in luce i nodi critici della società, ad analizzare gli elementi e i legami, i collegamenti fra questi elementi, rendendo visibile quel che non lo è immediatamente o che, peggio, viene celato dal sipario dell’ovvio. Sarebbe auspicabile che chi pratica questa disciplina evidenziasse le asimmetrie di potere rendendo esplicite le conseguenze che, nella realtà, suscita la narrazione pubblica che si fa della medesima. Dire una cosa, raccontandola da un preciso punto di vista, equivale ad influenzarla, insomma. Rischio di dire una cosa trita e ritrita ma ritengo che la società contemporanea, essendo molto appiattita sul presente del qui e ora, abbia bisogno di un lavoro di costante riflessione e analisi per tornare a mettersi in prospettiva. C’è bisogno di comprendere, elaborare, assimilare e dare una direzione ai cambiamenti.

Poi sarebbe bello che questa conoscenza che lantropologia contribuisce a costruire fosse in qualche modo partecipata, uscendo dal confino elitario del discorso disciplinare accademico. Solo così diverrebbe una conoscenza davvero partecipata, diffusa e dibattuta, che non si limita al puro teorizzare. Solo così, insomma, potrebbe avere un impatto più concreto sulla realtà.

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Il mondo attuale sta confrontandosi con una crisi di paradigma e valori. Reputi che le culture altre (o tradizionali) ci possano insegnare qualcosa? E sopratutto ritieni che noi siamo disposti ad imparare qualcosa?

Secondo il mio personale punto di vista, le culture tradizionali ci possono insegnare molte cose. Senza fare di tutta lerba un fascio, una delle caratteristiche delle società occidentali contemporanee è la forte tendenza allindividualismo e al non percepirsi più come parte di una comunità e di un tessuto sociale. Se questo, da una parte, ha significato una più libera espressione dell’individualità, una maggior libertà di scelta e una minor aderenza agli obblighi e ai ruoli sociali fissi e imposti dalla critica sociale, è pur vero, dallaltro lato, che ha creato molta più solitudine e contribuito a un progressivo sfaldarsi del tessuto sociale connettivo, perché gli individui, tendenzialmente, non si percepiscono più come membri attivi di una comunità. Penso allora che ci sia anche una minor percezione di quali siano i bisogni e le percezioni collettive, e che in quanto tali andrebbero affrontate collettivamente e non individualmente. Dico ciò pur rimanendo consapevole che, al giorno d’oggi, con gli scambi e le società multiculturali sia molto più difficile parlare di percezioni collettive. Nella difficoltà, tuttavia, credo sarebbe utile riuscire a coniugare una così grande presenza della diversità con una qualche sorta di percezione comune e condivisione, tipica delle società tradizionali, che non implica la rinuncia alle diverse individualità, né fomenta l’omologazione acritica.

Per rispondere al secondo quesito: non so se in generale Noi siamo disposti a imparare qualcosa. Ci sono alcuni movimenti, nicchie sociali, etc. molto aperte e ben disposte a contaminazioni positive delle culture altre, e la società contemporanea in generale è costantemente sottoposta a sollecitazioni provenienti da culture altre (anche se non mi risulta che la società occidentale, al pari di qualunque altra società egemone, abbia mai brillato per umiltà e voglia di mettersi in discussione). Pertanto non saprei dirti se non che non mi risulta ci sia particolare coscienza di ciò e degli scambi che costantemente avvengono. Registro amaramente che siamo finiti per tornare in epoca di costruzione di muri e paura di rifugiati, clandestini e simili. E non mi pare che siano questi i prodromi di un mondo dell’apertura e dell’apprendimento. Nemmeno dalla propria Storia.

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In questo anno, hai avuto modo di seguire inveritas.it e tribalnetworking.net. Qual è il tuo giudizio al riguardo?

Li ho trovati molto interessanti e i video delle “Rotte del Gusto” e gli altri documentari, sono molto rappresentativi e belli stilisticamente. Raccontano attraverso brevi tratti, cenni, piccoli particolari, atmosfere e silenzi. Penso che sia molto interessante il lavoro di analisi, e la ricerca dellindividuazione. Come ho letto da qualche parte nel sito, dellanimus loci, dei valori, e della profonda visione del mondo di queste terre ma anche delle risorse e potenzialità del territorio. È molto interessante anche il fatto di mettere in collegamento le risorse umane, ambientali e materiali del territorio, creando un dialogo circolare tra questi elementi e delineando alcune tracce di quello che può essere uno studio e una presa di coscienza per quello che potrà essere un filo comune magari di una futura narrazione collettiva.

E poi è un modo di far avvicinare alla Sardegna chi non la conosce, mostrandola in maniera immediata, con un taglio stilistico singolare e atmosfere particolari e affascinanti. Infine, i piatti sembrano buonissimi!

Inveritas è lo stesso un progetto molto interessante e innovativo perché, supportato da una visione chiara di quello che vuole essere, mette insieme e si avvale di diverse professionalità facendo interagire una visione antropologica con le nuove tecnologie, una spiccata ricerca stilistica e il circuito economico e sociale.