Buongiorno Sara ed Enrico e grazie per il tempo che ci dedicate. Anzitutto, complimenti per la vostra iniziativa Artcamvideo, ovvero il mettere l’antropologia al servizio della comunicazione di imprese e territori. Partiamo da qui. Cosa è, oggi, l’antropologia e quali sono le sue frontiere ed applicazioni?

Grazie a voi della possibilità che ci offrite.
Oggi l’antropologia in Italia è una disciplina universitaria che se non applicata, rischia di essere semplicemente un bellissimo corso di studi. Tanti dei miei compagni dell’università, finito il corso di antropologia, hanno proseguito con specializzazioni che gli permettessero uno sbocco lavorativo. La motivazione principale di questa scelta è che l’antropologia sia formativa e utile ma insufficiente ai fini di trovare un’occupazione.

Noi consideriamo l’antropologia un mezzo per interpretare la realtà e per questo stiamo portando avanti un progetto per poterla applicare e farne un lavoro.
L’impegno di Artcam è su più fronti, da una parte vuole mantenere la libertà che caratterizza la ricerca indipendente e dall’altra vuole applicare le proprie ricerche al mondo aziendale.

Indagare il mondo circostante attraverso la macchina da presa è ciò che ci caratterizza. Le nostre ricerche si trasformano in cortometraggi, film documentari o video-installazioni artistiche. L’obbiettivo è di comunicare la realtà presa in esame e di farla rivivere sullo schermo. L’approccio antropologico si unisce al linguaggio cinematografico per comunicare persone, esperienze, luoghi.

Il valore aggiunto della pratica antropologica è sicuramente il modo con cui ci fa entrare in relazione con le persone e gli ambienti. Il senso della ricerca è immergersi nell’intimo delle persone e dei luoghi per comunicarne l’anima.

Che sia una ricerca indipendente o commissionata, il nostro obiettivo principale è interrogarci sull’essere umano nelle sue varie sfaccettature. Anche se non riusciamo a rispondere a tutte le nostre domande, è nel processo creativo che i nostri lavori assumono valore, sia per noi che per i nostri committenti.
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Perché avete deciso di studiare antropologia e perché avete deciso, una volta finito il percorso accademico, di tornare in Italia?

Sara: Ho frequentato la triennale di Scienze Antropologiche a Bologna e poi mi sono iscritta alla Goldsmiths di Londra, studiando Visual Anthropology. Mi sono iscritta ad antropologia perché ero inizialmente attratta dall’esotico e volevo comprendere le culture altre. In seguito all’esperienza all’estero, ho iniziato invece a esplorare la mia città natale: Verona. La lontananza dall’Italia mi ha aiutato a comprendere quanto sia fondamentale conoscere le proprie origini per la comprensione dell’altro.
Ho scelto di tornare in Italia per tentare di applicare una disciplina che è molto più diffusa all’estero, e allo stesso tempo di contribuire ad un miglioramento. Sicuramente è una scelta controcorrente e coraggiosa, perché ci si scontra ogni giorno con le difficoltà di un paese tradizionalista in cui le novità impiegano tempi lunghi ad essere accettate ed integrate. La strada è in salita ma allo stesso tempo le sfide possono essere uno stimolo: solo se si è veramente motivati si riesce a portare avanti lavori nuovi o alternativi.
Il mio ultimo corso accademico è stato in Human Development and Food Security. Mi ero iscritta con la speranza di poter portare il mio contributo (da antropologa) al tema dello sviluppo umano ma purtroppo, per ora, è un ambito in cui si dà valore principalmente all’economia e alla statistica. Non escludo che in futuro sia possibile lavorare anche su questo fronte, magari utilizzando il video partecipativo.

Enrico: Io ho effettuato un percorso di studi diverso, ho studiato a Verona Lettere laureandomi con una tesi in Semiologia del cinema, poi mi sono specializzato a Venezia in Filologia Italiana con una laurea in Storia e Critica del Cinema approfondendo il documentario etnografico contemporaneo.

Le discipline in questione si fondono e completano a vicenda, se la prima ci permette di scoprire un luogo ed entrarne nel profondo, la seconda ci dà i mezzi ed i modi di comunicare quello che abbiamo appreso.

Come risponde il Veneto alle vostre proposte e sollecitazioni?

Il Veneto è la Regione in cui siamo nati e cresciuti. Si tratta di una realtà complessa che stiamo cercando di comprendere. Sicuramente è il luogo dove stiamo conducendo la maggior parte dei lavori e cercando di introdurre il nostro approccio. I documentari finora realizzati sono stati accolti con interesse ed entusiasmo. Il nostro primo lavoro Outsiders – Storie dal fiume, ambientato lungo il fiume Adige, è diventato un punto di riferimento per molte persone, tanto che è stato da stimolo per la nascita di una associazione che ha proprio l’obbiettivo di valorizzare il territorio. Tra la nebbia e immersa nella pianura c’è una delle poche scuole in Italia che si occupa di cinema documentario etnografico, l’Etnodramma di Monselice, il cui direttore Fabio Gemo è sensibile alle nostre iniziative. La stessa scuola organizza annualmente un festival di Cinema Documentario Etnografico, EtnoFilmFest che ha premiato il nostro documentario d’esordio nel 2014. Alcune Film Commissions ci sostengono e spronano a continuare. Grazie alla Polesine film Commission, lo scorso settembre, abbiamo presentato il progetto di un documentario dal titolo Limbo, nello spazio della Regione Veneto al festival del cinema di Venezia. Il documentario è in corso di realizzazione, ed è un prodotto indipendente a cui stiamo lavorando da circa due anni. Anche la Verona film Commission ha valorizzato i nostri lavori a tal punto da inserirli in una rassegna di cinema che si è svolta negli ultimi due anni nella nostra città.

A Verona abbiamo trovato sostegno ed aiuto anche da una agenzia di marketing, Pensiero Visibile, specializzata in storytelling. Hanno apprezzato l’approccio antropologico che ci caratterizza, sostenendo che possa essere utilizzato per rappresentare e comunicare aziende o altre realtà. Con loro abbiamo iniziato una collaborazione attiva. Il tasto dolente è la finanziabilità di alcuni progetti indipendenti. Sebbene ci sia interesse per prodotti come i nostri, non è semplice attingere a finanziamenti che permettano di portarli a termine come vorremmo. Tuttavia ci stiamo impegnando per capire come risolvere questo ultimo punto sperando che istituzioni ed enti possano investire sul nostro lavoro.

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La comunicazione di aziende e territori è stata, a lungo tempo, monopolizzata dalla pubblicità, i suoi metodi ed il suo linguaggio. Cosa vuol dire presentarsi alle aziende, ad esempio, e proporre loro un documentario che vuole esplorare la verità antropologica?

E’ molto difficile spiegare alle aziende, abituate ad una pubblicità televisiva, che esistono molti modi di comunicare. Talvolta ci sono piccole realtà che sono più inclini a comprendere il nostro metodo di lavoro. Si tratta perlopiù di attività artigianali, associazioni o piccole organizzazioni. Ciò che cerchiamo di fare è indagare e comunicare la storia delle persone che realizzano un prodotto, le motivazioni che spingono le stesse a portare avanti un’azienda, un’attività o un progetto. Siamo fortemente convinti che la comprensione dell’altro arricchisca, e che le persone si innamorino delle storie che si nascondono dietro agli oggetti.

La pubblicità ci presenta spesso un mondo completamente fittizio. La ricerca etnografica ci presenta un’interpretazione della realtà.

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Oggi, l’antropologia, e più precisamente l’etnografia, deve confrontarsi con i nuovi mezzi digitali a disposizione: blog, social networks, portali, etc. In che modo ritenete che questi mezzi stiano modificando l’esperienza sul campo e le pratiche (anche visuali) di scrittura e rappresentazione?

Dal mio punto di vista l’esperienza sul campo viene arricchita dal mondo digitale. Nel comprendere le dinamiche sociali i social certamente aiutano, oramai sono parte integrante del mondo contemporaneo e non li possiamo escludere. Chiaramente non devono nemmeno essere utilizzati come unica fonte di informazione. Non si può negare che le communities stiano diventano un “luogo virtuale” in cui le persone condividano pensieri, idee e molto altro. Il nostro ultimo lavoro, Limbo, affronta anche questa tematica e cerca di ragionare sul ruolo che le realtà virtuali e le maschere hanno nella vita di un gruppo di giovani.

Il web è il mondo globale per eccellenza. Si crede possa rappresentare la libertà assoluta di comunicare e dalla quale attingere informazioni. Ma quanto queste informazioni sono veritiere? Cosa significa mettersi in relazione con l’altro in un mondo virtuale? Che spazio ha il web nella nostra vita? E’ importante interrogarsi sul mondo digitale, vista anche la sua continua e rapida evoluzione.

Per quanto riguarda invece le pratiche di scrittura e rappresentazione, crediamo che in Italia si faccia molta fatica ad accettare un video/documentario/film come espressione di una ricerca etnografica, soprattutto a livello accademico. Siamo tutti abituati a valorizzare di più un saggio scritto piuttosto che un documentario etnografico. Un documentario come una rappresentazione teatrale oppure un balletto, un’opera d’arte o altre esperienze sensoriali possono essere espressione di una ricerca etnografica. In seguito ad un’esperienza sul campo, un ricercatore dovrebbe scegliere il metodo di comunicare che preferisce. Dal momento che l’esperienza sul campo è multisensoriale perché non utilizzare la multisensorialità anche nel comunicare la ricerca?

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In Italia, più che da altre parti, l’antropologia risulta una pratica esotica confinata allo studio universitario di qualche corso “esotico”. Infatti, non esiste il mestiere di antropologo. Quali sono, secondo voi, i contributi che questa disciplina può apportare al miglioramento della vita quotidiana?

L’esotico nell’antropologia è certamente molto affascinante. La scoperta di mondi nuovi, rituali tribali e lingue sconosciute fa sicuramente brillare gli occhi di ogni antropologo. Ma abbiamo scoperto che ci sono esperienze molto “esotiche” anche nel nostro paesino di origine e non parlo solo di esperienze multiculturali.
E’ importantissimo conoscere se stessi e le proprie origini. Dobbiamo imparare a conoscere le persone che abbiamo vicino, e nel migliore dei casi scopriremo quanta “esoticità” ci sia anche nel nostro vicino di casa.
L’esotico, per definizione, è tutto ciò che c’è fuori da noi (da exo = fuori). Consideriamo l’antropologia un metodo per conoscere e comprendere noi stessi e il mondo. Siamo convinti che vada applicata alla vita di tutti i giorni, si può iniziare dalle nostre origini e dalle nostre famiglie. La scoperta dell’umano è affascinante ancora di più quando ti aiuta a comprendere te stesso e quando ti arricchisce. Comprendendo te stesso sarà più semplice comprendere l’
altro. La comprensione dell’altro è fondamentale. Può essere utile nella comunicazione internazionale per evitare i conflitti; nel dialogo interculturale per l’integrazione; all’interno di luoghi lavorativi per agevolare le dinamiche di gruppo; nelle istituzioni e nella comunicazione politica per favorire il dialogo; nelle comunità scientifiche per lavorare verso una multidisciplinarità; nell’insegnamento affinché sia più inclusivo; e in tutti gli ambiti in cui c’è un incontro tra individui e comunità.

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Avete seguito inveritas.it e tribalnetworking.net, che idea vi siete fatti del nostro lavoro?

Ci piace il vostro team e i lavori realizzati, le scelte stilistiche ed estetiche. Nei cortometraggi abbiamo apprezzato molto il lavoro sui suoni e i gesti, fondamentali per esprimere luoghi, persone e professioni. Le rotte le testeremo di persona la prima volta che torneremo in Sardegna così potremo darvi un giudizio dopo un’esperienza sul campo come piace a noi! Sicuramente il vostro lavoro da un lato ha stimolato la nostra immaginazione e dall’altro ci ha dato fiducia per continuare sulla strada che abbiamo intrapreso. La rottura degli schemi porta verso nuovi orizzonti anche se con lentezza. Ma infondo sono lenti anche i tempi della ricerca etnografica e non bisogna avere troppa fretta.

immagini e video © Artcamvideo